Le riserve d’oro delle banche centrali tornano a crescere, ma restano lontane dai livelli degli anni ’80

Le riserve d’oro delle banche centrali tornano a crescere (2)

Luca Antonelli

Ottobre 20, 2025

Nel 2025 le banche centrali hanno aumentato gli acquisti di oro, ma i livelli restano ben al di sotto di quelli raggiunti quarant’anni fa, quando i metalli preziosi erano al centro delle politiche monetarie.

Nel 2025 le banche centrali di tutto il mondo stanno riportando l’oro al centro delle proprie strategie di riserva. Dopo anni in cui i metalli preziosi sembravano aver perso rilevanza rispetto alle valute e ai titoli di Stato, la corsa all’oro è ripartita, spinta dalle tensioni geopolitiche e dall’incertezza economica. Gli ultimi dati diffusi dal World Gold Council mostrano che gli istituti centrali hanno acquistato quasi 350 tonnellate di oro nei primi nove mesi dell’anno, segnando un incremento del 7% rispetto al 2024.

Eppure, malgrado la crescita, i numeri restano lontani da quelli registrati negli anni ’80, quando l’oro rappresentava un pilastro delle riserve internazionali. All’epoca, in un contesto di inflazione galoppante e crisi valutaria, i lingotti custoditi nei caveau delle banche centrali toccarono il picco storico di oltre 36.000 tonnellate. Oggi, secondo le stime più recenti, il totale si aggira intorno alle 35.700 tonnellate, ma con una composizione molto diversa e una distribuzione più frammentata.

I motivi del ritorno all’oro e le strategie dei principali Paesi

Il ritorno dell’oro nei bilanci delle banche centrali non è casuale. La combinazione tra guerre commerciali, inflazione e instabilità del dollaro ha riportato in primo piano la necessità di diversificare le riserve. Paesi come la Cina, la Russia e l’India stanno guidando la nuova corsa al metallo prezioso, nel tentativo di ridurre la dipendenza dalle valute occidentali e di consolidare la propria autonomia monetaria.

Le riserve d’oro delle banche centrali tornano a crescere (1)
Il ritorno dell’oro, quindi, non è una nostalgia degli anni ’80. – cittanascostamilano.it

La Cina, in particolare, ha continuato a incrementare le proprie riserve per il dodicesimo mese consecutivo, superando quota 2.300 tonnellate, un valore che la colloca tra i primi cinque detentori mondiali. La Banca Centrale Russa, nonostante le sanzioni, ha ripreso gli acquisti interni sfruttando la produzione nazionale, mentre l’India ha adottato una strategia più prudente, con incrementi graduali destinati a stabilizzare la rupia nei mercati asiatici.

Nel mondo occidentale, anche la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea mantengono una quota stabile di oro, sebbene in termini relativi inferiore rispetto al passato. Gli Stati Uniti restano il primo detentore globale con oltre 8.100 tonnellate, seguiti da Germania, Italia e Francia, che conservano insieme più di 9.000 tonnellate.

Gli economisti sottolineano che l’interesse crescente per l’oro riflette una perdita di fiducia nei mercati valutari tradizionali, aggravata dall’aumento dei tassi d’interesse e dal rallentamento delle economie avanzate. In un contesto in cui i titoli di Stato rendono meno e il debito pubblico mondiale sfiora nuovi record, l’oro torna a essere una garanzia di stabilità.

Un mercato in espansione ma ancora fragile

L’aumento delle riserve d’oro, se da un lato testimonia la ricerca di sicurezza da parte delle banche centrali, dall’altro evidenzia i limiti di un mercato che resta condizionato da fattori geopolitici e speculativi. L’oro, pur essendo un bene rifugio, non produce interessi e non può essere utilizzato direttamente per sostenere politiche di crescita. Per questo, la sua espansione è spesso interpretata come un segnale di sfiducia sistemica più che di stabilità.

Nel 2025, il prezzo dell’oro ha oscillato tra i 2.200 e i 2.350 dollari l’oncia, mantenendo livelli elevati ma instabili. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, se la crescita globale rallentasse ulteriormente, il prezzo potrebbe superare i 2.400 dollari entro la metà del 2026, con un impatto diretto sui bilanci delle banche centrali.

Gli esperti sottolineano come la nuova fase d’espansione non rappresenti un ritorno al passato, ma piuttosto un adattamento al contesto multipolare. Oggi, a differenza degli anni ’80, l’oro non è più il fulcro dei sistemi monetari, ma una componente strategica di diversificazione, utile per mitigare il rischio valutario e rafforzare la credibilità internazionale delle banche centrali.

Per l’Italia, che mantiene 2.451 tonnellate di oro custodite nei caveau della Banca d’Italia e in parte all’estero, l’attuale valore delle riserve supera i 150 miliardi di euro, una cifra che rappresenta un’importante garanzia patrimoniale per la stabilità del debito.

Il ritorno dell’oro, quindi, non è una nostalgia degli anni ’80, ma il segno di un equilibrio nuovo, più incerto e meno prevedibile. In un mondo dove le valute digitali e i conflitti economici si moltiplicano, il metallo giallo resta un punto fermo, antico e moderno insieme, che continua a brillare nei bilanci delle banche centrali.