Bere acqua è un gesto quotidiano che dovrebbe garantire sicurezza e benessere, ma un recente studio ha svelato dati che mettono in discussione questa certezza, coinvolgendo alcuni tra i marchi più consumati in Europa.
L’idea di assumere almeno due litri d’acqua al giorno è una regola semplice e nota, utile a mantenere l’idratazione corporea e a favorire il corretto svolgimento delle funzioni vitali. Tuttavia, la realtà mostrata da test indipendenti rivela una presenza invisibile ma preoccupante che si annida nelle bottiglie di acqua minerale più diffuse sulle nostre tavole. Il controllo effettuato da Greenpeace Italia ha acceso un faro sulle sostanze contaminanti che compromettono quella che dovrebbe essere la fonte più pura di liquidi per il nostro corpo.
la presenza di pfas nelle acque minerali più diffuse in italia
Le PFAS rappresentano una famiglia di sostanze ampiamente riconosciute per la loro elevata stabilità, che le rende difficili da eliminare una volta disperse nell’ambiente. Tra i composti ricercati figura anche l’acido trifluoroacetico (TFA), un polimero che si trova ormai ovunque, dalla polvere nell’aria fino nel sangue umano. Questa sostanza è emersa come elemento contaminante principale all’interno di molte bottiglie analizzate.
Il TFA, unico PFAS individuato nei campioni, ha la caratteristica di essere molto mobile e persistente, qualità che ne facilitano l’accumulo a lungo termine nei corpi idrici e, conseguentemente, nell’organismo umano. Le autorità tedesche hanno recentemente inserito il TFA tra le sostanze classificate come “tossiche per la riproduzione”, un segnale che sottolinea i rischi sanitari non più trascurabili associati alla sua presenza nelle acque destinate al consumo.
implicazioni sanitarie e la risposta delle istituzioni europee
La diffusione dei PFAS nell’ambiente e nei prodotti di uso quotidiano solleva interrogativi sulle ripercussioni a lungo termine per la salute pubblica. In particolare, l’acido trifluoroacetico ha suscitato allarme a causa della sua capacità di persistere senza degradarsi e di penetrare nei tessuti biologici, con eventuali effetti nocivi per la fertilità e lo sviluppo. Questa caratteristica ha portato le autorità tedesche a richiedere all’ECHA, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, la riclassificazione del TFA come sostanza con effetti dannosi sulla riproduzione.
Oggi, la contaminazione dell’acqua minerale da PFAS non è solamente un problema locale, ma una questione che interessa gran parte dell’Europa, con ripercussioni che si riflettono a livello ambientale e sanitario. Le molecole di TFA rilevate si dimostrano una testimonianza concreta della penetrazione dell’inquinamento chimico in risorse che si ritenevano sicure, sollevando dubbi non solo sulla qualità degli impianti di imbottigliamento ma anche sulle fonti di approvvigionamento delle acque minerali.
Questi risultati pongono nuovi riflettori sulle iniziative necessarie per migliorare la sorveglianza ambientale e la regolamentazione delle sostanze chimiche persistenti. Le politiche europee stanno lentamente indirizzandosi verso una maggiore tutela, ma rimane indispensabile un monitoraggio costante e trasparente per scongiurare rischi nascosti nella bottiglia che tutti consumiamo quotidianamente.