Milano, musica e memoria: il ritorno poetico di Capossela con Canzoni a manovella

Vinicio Capossela

Vinicio Capossela. Fonte foto www.wikipedia.org-cittanascostamilano.it

Franco Vallesi

Ottobre 18, 2025

A 25 anni dall’album che ha segnato la sua carriera, Capossela torna a eseguirlo integralmente al Barezzi Festival: «Dentro c’è tutto il Novecento».

Venticinque anni dopo la sua uscita, “Canzoni a manovella” torna a rivivere dal vivo. Vinicio Capossela lo definisce «un disco del secolo», e non è solo una formula affettuosa: dentro quell’opera pubblicata nell’ottobre del 2000 c’è davvero tutto il Novecento, dalle sue utopie alla sua follia.

Per celebrarne l’anniversario, il cantautore porterà sul palco l’intero album domenica 19 ottobre al Conservatorio di Parma, in occasione dell’anteprima del Barezzi Festival (ore 20.30, biglietti da 35 a 60 euro). Sarà una serata speciale, con gli stessi musicisti che registrarono il disco e alcuni ospiti a sorpresa. Ad anticipare il concerto, venerdì alle 17 a Casa Verdi, un incontro pubblico con Capossela dedicato alle storie, ai suoni e ai simboli di quell’opera senza tempo.

Un disco fuori dalla storia

“Canzoni a manovella” resta un lavoro unico nel panorama musicale italiano. «Era un album fuori dalla storia quando è uscito e rimane fuori dalla storia oggi», racconta Capossela. «Nel senso che parlava di palombari, ma anche di guerra; di rose, ma anche di clown e di decervellamento. Era un disco che guardava indietro, agli autori del passato come Céline, ma allo stesso tempo pieno di visioni futuriste e simbolismi d’inizio Novecento. Un album a-storico, ma ancora vivo».

Concerto
Vinicio Capossela. Fonte foto www.wikipedia.org-cittanascostamilano.it

Quell’universo sonoro e letterario, popolato da immagini di aerostati, pionieri del volo, macchine rumorose e città immaginarie, nasceva da una riflessione sul rapporto tra uomo e tecnologia. «All’epoca di “Canzoni a manovella” — spiega — scienza, sapere e tecnica avevano bisogno del fattore umano. Come la manovella che si gira per riprodurre il suono di uno strumento meccanico. Poi lo sviluppo tecnologico ha allontanato sempre di più l’uomo, fino all’intelligenza artificiale. Oggi facciamo la guerra con i droni. È la tecnologia come forma di alienazione».

Il richiamo alle origini, al gesto manuale che mette in moto la musica, resta quindi la chiave del disco: una metafora del controllo umano sulle proprie creazioni, un equilibrio che il progresso sembra aver smarrito.

Milano, tra memoria e metamorfosi

Capossela rievoca anche i luoghi in cui nacque il progetto. «“Canzoni a manovella” l’ho scritto in gran parte a Milano e inciso alle Officine Meccaniche di Mauro Pagani, sul Naviglio Grande. Ci arrivavo con i tram 1 e 9, partendo dalla Stazione Centrale. Mi piaceva raggiungere lo studio lungo i binari: quei vecchi tram, ancora oggi in circolazione, mi ricordano i fantasmi della città, i rumori, gli echi del passato».

Nella Milano di allora si respirava ancora una dimensione artigianale della musica, fatta di luoghi e persone, lontana dagli studi digitali di oggi. «Nei binari di questa città ci sono i fantasmi degli intonarumori di Luigi Russolo e di tanti altri che non smettono di essere attuali. Basta tenerli vivi, e le canzoni sono forse i posti migliori dove custodirli».

Alla domanda su come percepisca la città di oggi, Capossela non nasconde una certa nostalgia: «Ogni volta che chiude una libreria, un cinema o un centro sociale come il Leoncavallo, è un lutto. Non mi piace tanto la Milano attuale, anche se qualcosa di interessante resta. Resto qua, la canzone che chiude l’album, era premonitrice: parla di chi rimane, ma non più dentro casa, visto il caro affitti».

Con la sua poetica surreale e umanissima, Capossela continua a mescolare tempi, luoghi e simboli, come se ogni epoca potesse convivere nella stessa nota. “Canzoni a manovella”, venticinque anni dopo, resta così un viaggio nel passato che racconta il presente — e forse anche il futuro.

Canzoni a manovella, un viaggio poetico tra uomo e macchina

A distanza di venticinque anni, “Canzoni a manovella” continua a essere un’opera impossibile da incasellare. Non solo un album musicale, ma una narrazione visionaria che intreccia meccanica, poesia e filosofia. Nelle sue canzoni convivono marinai, palombari, illusionisti e creature di latta, figure simboliche di un mondo sospeso tra invenzione e disincanto. Capossela costruisce un mosaico sonoro che richiama le atmosfere dei café chantant, dei teatri di varietà e delle prime fabbriche industriali, con un linguaggio che oscilla tra il lirico e il meccanico. Ogni brano è una macchina in movimento, azionata – come suggerisce il titolo – da una manovella che mette in moto la memoria.

L’album riflette la tensione eterna tra umanità e progresso, tra la meraviglia della scoperta e il rischio di perdere se stessi nell’ingranaggio. «La tecnologia ha tolto all’uomo la manovella», dice Capossela, e in questa frase si condensa il senso profondo del disco: l’uomo che inventa la macchina, ma che poi ne diventa parte. Ascoltare oggi “Canzoni a manovella” significa ripercorrere un secolo di sogni, guerre, illusioni e nostalgie, restando affascinati da un suono che, pur nato nel 2000, continua a parlare al presente con voce umana e meccanica insieme.